Il Cannonau

È certa l’origine sarda del vitigno Cannonau.

In Sardegna compare circa 2 secoli prima del Garnacha in Spagna.

Prendendo in esame aspetti storici e ampelografici riguardo a Garnacha e Cannonau, sulla base di dati e documentazioni esistenti, risulta evidente che l’ipotesi dell’origine spagnola del Cannonau non è fondata.

Secondo le fonti il Cannonau è presente in Sardegna da circa 500 anni, mentre la diffusione della Garnacha tinta in Spagna come uva da vino avviene solo dopo la comparsa dell’oidio verso la fine dell’800.

Il Cannonau è il vitigno più coltivato in Sardegna, pur diffuso in tutta l’isola, trova l’ambiente più favorevole per produzioni di qualità nell’area centro-orientale), il Garnacha spagnolo, il Grenache francese e il Tocai rosso sono lo stesso vitigno (Calò et al., 1991; Meneghetti et al., 2006).

La biologia molecolare, se da un lato certifica la comune identità di vitigni con nomi diversi, dall’altro non è in grado, da sola, di garantire la provenienza del vitigno da un areale specifico. Per questo diventano necessari, tra gli altri, riscontri di tipo storico.

Materiali di approfondimento tecnico scientifico

Canonazo: vitigno o refuso?

Molte delle notizie relative alla viticoltura della Sardegna, che danno per certa la derivazione del Cannonau dal Canonazo di Siviglia, andranno riviste alla luce dei dati riportati in questo articolo.

Il Canonazo (di Xeres, o Siviglia) viene citato dal Cettolini (1894), che ne suggerisce il confronto con il Cannonau. La fonte del Cettolini è probabilmente il Rovasenda, che parla di un Canonazo proveniente da Xeres o Trebugena, caratterizzato da «acini molli, rotondi, dorati». Cioè è un’uva bianca! Difatti l’ampelografo italiano non lo accosta assolutamente al Cannonau. La fonte di questa notizia, per il Rovasenda, è Simon de Rojas Clemente y Rubio, il più illustre degli ampelografi che, nel XIX secolo, operarono in Spagna. Rojas non parla però del Canonazo bensì del Cañocazo, vitigno bianco tuttora coltivato in Andalusia! Questo potrebbe spiegare perché la similitudine tra Cannonau e Canonazo venga citata solo da autori italiani; infatti un vitigno con questo nome non sembra comparire nella letteratura scientifica spagnola. Anzi, sia che si tratti di lavori relativi al Garnacha e ai vitigni spagnoli imparentati (Martin et al., 2003), sia di lavori sul germoplasma viticolo iberico (Cabezas et al., 2003), il Canonazo non viene mai menzionato.

Volendo consultare altre fonti, noteremo che né de Nieva, nel 1854, nè Blanco Fernandez, nel 1863, citano il Canonazo; che non viene citato nemmeno da tutti gli altri autori che, fino alla fine del XIX secolo, insegneranno in Spagna l’arte di colti- vare la vite e produrre buon vino. Insomma, il Canonazo non sembra essere mai esisitito: è un errore di stampa nell’opera del Rovasenda (foto 2), che a preso il posto del Cañocazo, realmente citato da Rojas. Risulta evidente che alla luce di questi dati, alcuni testi di guide, siti internet (anche istituzionali) relativi alla viticoltura della Sardegna, certi della derivazione del Cannonau dal Canonazo di Siviglia (o di Xeres, ma comunque andaluso), andranno sicuramente corretti.

Prime fonti storiche sul Cannonau in Sardegna

In Sardegna, le fonti storiche più anti- che che citano i tipi di vini prodotti sono atti di governo ), statuti (come quelli dei Comuni di Iglesias e Sassari), rappor- ti di visitatori della Corona spagnola e, soprattutto, atti notarili, sia compravendite che successioni.

Il vino Cannonau compare per la prima volta in un atto del notaio Bernar- dino Coni, il 21 ottobre 1549 a Cagliari (Cherchi Paba, 1977). Il visitatore del re Martin Carrillo e il francescano Giorgio Aleo, alcuni anni più tardi, nel 1612 il primo e nel 1677 il secondo, parlano di vini Cañonates di particolare pregio prodotti in tutta l’isola (AA.VV., la storia della vite e del vino in Sardegna, 1999). Il francescano menziona anche il Vernaccia, che però, scrivendo in spagnolo, chiama «Garnacha»!

Nei secoli successivi si hanno anche delle descrizioni più precise dei vitigni, come quella del Manca dell’Arca (XVIII secolo), che cita il Cannonau, e quella del Moris (XIX secolo), ancora più accurata, che classifica il nostro vitigno come Vitis prestans. A metà dell’800, a darci un’idea della diffusione del Cannonau è il sacerdote Vittorio Angius che, comune per comune, fornisce noti- zie dettagliate sulla viticoltura del tempo e sui vitigni coltivati nelle diverse aree. Anche dal suo censimento, il Cannonau è il vitigno più diffuso nell’isola. Nella sua opera, i cui dati saranno con- fermati qualche decennio più tardi dallo Strafforello, sono elencati un centinaio di vitigni sardi. All’epoca, quindi, vi era una piattaforma di vitigni autoctoni decisamente maggiore di quella considerata finora. Il Cannonau, insomma, è citato in atti notarili già nella prima metà del 500. Ed è costante la sua presenza nella viticoltura isolana già da allora, costituendone uno dei punti di forza. A questo punto, vista la presenza nelle fonti dell’isola del Cannonau da circa 500 anni, è importante vedere cosa succede al Garnacha in Spagna.

Garnacha in Spagna: dal Vernaccia al Cannonau

In Sardegna il Vernaccia (vino e viti- gno bianco) è sempre stato distinto dal Cannonau (vino e vitigno «tinto»). Diventa pertanto importante, ai fini della nostra indagine, capire se, in Spagna, come nel resto d’Europa, con il nome «Garnacha» si intendesse realmente un vino bianco fino, affine al vino greco (moscati e malvasie).

Non è un aspetto secondario. Gli esper- ti di etimologia e di lingue romanze non hanno dubbi in proposito (Wagner, ried. 1996; Henry, 1986; De Casas, 1992; Moulin, 1993; Rull, 1999). Analoghe certezze riscontriamo nel Dizionario etimologico castigliano (Corominas, 1967 e 1980) e nel Dizionario etimologico catalano (De Borja Moll, 1998): Garnacha (o Garnatxa, per i catalani) deriva dall’italiano Vernaccia. Quindi se Garnacha deriva da Vernaccia (a Teruel, Aragona, il Garnacha-Cannonau ancora oggi viene chiamato Bernacha), da quanto tempo è che in Spagna la parola Garnacha non viene più usata per definire un vino fino bianco, ma uno rosso?

Nel 1348, nel «Regiment de preserva- ciò de pestilencia» del comune di Lleida si suggerisce di usare, come rimedio, del vino caldo naturalmente «…axí com grech ho vernaça…» (…che sia greco o vernaça). L’affiancamento del vino greco (malvasie o moscati) al Vernaccia non dovrebbe lasciare dubbi: è un vino bianco. Ma ancora più chiaro è il francescano catalano Francesc Eiximenis, che, sul finire del XIV secolo, nella sua opera «Lo Crestià», elenca proprio il Vernaccia tra i vini bianchi (Renedo I Puig, 2001).

Da ricordare che, anche nel resto d’Eu- ropa, il Vernaccia (come Grenache, Vernache, Vernage, ecc.) compare in docu- menti del XIII, XIV e XV secolo sempre accanto al vin greco, cioè vino bianco fino e aromatico (Henry, 1986).

È interessante notare che Garnacha viene usato per definire un vino bianco fino anche 2 secoli più tardi. Infatti, nella novella «El licenciado Vidriera» (1613), il più importante scrittore spagnolo di tutti i tempi, Miguel Cervantes, cita il Garnacha in un contesto che non lascia dubbi sul fatto che è Vernaccia: in una lista di vini bianchi italiani apprezzati dal protagonista in una taverna di Genova. Da rimarcare che questa citazione del Cervantes è la prima in castigliano dove compare il termine «Garnacha» (Corominas, 1967 e 1980; Henry, 1986), un vero e proprio italianismo (Bocalo, 1998).

Nel XVII secolo, in alcuni conventi spagnoli veniva preparata la Garnacha, bevanda «compuesta por tres clases de uvas diferentes, azúcar, canela, pimienta y algún otro ingrediente» (Gomez Diaz, 2002). Presubilmente un tentativo di imitare un vino bianco alcolico, ricco di aromi, ma l’ennesima dimostrazione che il Garnacha come è inteso oggi in Spagna (cioè vino rosso) non sembra esistere a metà del 600. Quindi almeno fino alla metà del XVII secolo, in Spagna, quando si parlava di Vernaça, o Garnacha, o Guarnacha, si parlava di Vernaccia, vino bianco dolce e fino.

Sarebbe interessante a questo punto capire quando il termine Garnacha comincia ad essere usato per definire un vino rosso. Secondo molti autori, la prima citazione e la prima descrizione dell’uva Garnacha-Cannonau in Spagna si deve all’agronomo Alonso de Herrera e alla sua Obra de Agricoltura del 1513 dove descrive un vitigno «aragonès». Da molti (Meneghetti et al., 2006) questa viene considerata la descrizione del Garnacha-Cannonau in virtù del fatto che «Tinto aragonès» è uno degli altri nomi con cui il Garnacha è conosciuto, oggi, in Spagna. Secondo de Herrera l’Aragonès «… è un’uva nera, con grappoli grandi, molto serrati e acini grossi: sono ceppi di grande produzione. In pianura caricano tantissimo e fanno un vino scuro e corposo, mentre se piantati in altura o su arenarie non producono tanto e fanno un vino più chiaro e soave: è un vino da grande produzione che dura poco. Il Tortozon e l’Herrial sono come l’Aragonés…».

Va detto che difficilmente una descrizione come questa può adattarsi al Cannonau. Infatti il Tortozon e l’Herrial sono dei vitigni tuttora esistenti, ma che nessun autore spagnolo ha mai accostato (nemmeno come semplice somiglianza) al Garnacha-Cannonau: anzi, le caratteristiche di questi ultimi e dell’Aragonès di Herrera (grappoli grandi e acini grandi) sembrano scoraggiare un simile accostamento. Questi dubbi furono anche di Rojas Clemente, il grande ampelografo che ai primi del XIX secolo curò un’edizione della «Obra», in cui si dichiarò perplesso riguardo alla rispondenza dell’Aragonés con qualcuna delle varietà spagnole da lui descritte. Pertanto pare piuttosto azzardato (secondo il Rojas Clemente) riconoscere un qualsiasi vitigno nell’Aragonés citato da De Herrera.

È catalano Frate Miguel Agustin, che nel suo «Libro de los secretos de agricoltura, casa campo y pastoril», del XVIII secolo, cita una serie di vini e vitigni, come i greci, la Malvasia, il Macabeo. Ma non sembra citare il Garnatxa (per usare la grafia catalana).

Nel Dizionario della lingua spagnola del 1734 viene citata, per la prima volta riferita a un vino «tinto», proprio la Gar- nacha. Nel 1780, l’edizione del «Diccionario» presenta una descrizione più ac- curata: la Garnacha è una varietà di uva «roxa» dalla quale in Aragona si fa del vi- no. Ma lo stesso dizionario ci ricorda che la Garnacha è anche un tipo di bibita tipo «carraspada», cioè come quella descritta nel convento del XVII secolo.

Insomma, con il vocabolo Garnacha si indicano più bevande diverse tra loro!

Il Garnacha viene citato da Clemente Rojas nel suo Ensayo del 1807, nel quale troviamo descritta la Tintilla, nota anche come Alicante. Altro nome del Garnacha? Sicuramente no: l’Alicante in questione presenta una foglia «muy borrosa», cioè molto tomentosa, il contrario del Garnacha-Cannonau.

Il nome Garnacha, riferito a una varietà di uva nera, compare nel 1854 nel «Manual de cosechero de vinos» di de Nieva: l’importanza del vitigno sembra assai trascurabile. Il Garnacha non compare invece nel «Tratado sobre el coltivo de la vid» di Antonio Blanco Fernandez del 1863.

Buenaventura Castellet, nel 1865, menziona il Garnacha (sinonimi Tintilla e Alicante) e il Tinto de Aragon, descrivendoli come varietà diverse, in pagine differenti. Entrambi sembrano degni della massima considerazione e l’autore si prodiga nel raccomandar-ne la coltivazione dappertutto. Non dice se i due siano lo stesso vitigno. Nel 1885 Eduardo Abela y Saiez de Andino, nel suo «El libro del viticultor», corregge l’incongruenza registrata tra Rojas Clemente e Buenaventura in merito all’Alicante: l’Alicante descritto (come Tintilla) da Rojas Clemente è diverso da quello, che lui chiama Alicantina, descritto da Buenaventura Castellet in Catalogna.

Inoltre, Abela de Saiez cita il Valier, agronomo e viticultore aragonese titolare di una cattedra ambulante di viticultura, che del Garnacha dice «…è il vitigno più moderno nei vigneti aragonesi – (e siamo nel 1885…), –…si conosceva a malapena al principio di questo secolo come uva da fine pasto». All’epoca del Valier è quindi l’uva più rappresentata in Aragona. Un altro agronomo aragonese, Antonio Berbegal, conferma questa affermazione ed entrambi attribuiscono il successo del Garnacha alla sua resistenza all’oidio. Conclude Saiez affermando che «…in tutta la Spagna si va estendendo notevolmente la coltivazione del Garnacha, la cui presenza, oltre alla provincia di Saragozza, è segnalata in quella di Alava, Barcellona, Castellon, Gerona, Huesca, Navarra, Tarragona, Teruel e Valencia». Naturalmente, se «si va estendendo», vuol dire o che era poco diffusa o, addirittura, che non c’era.

La vocazione tardiva del Garnacha per il vino è segnalata anche da Buenaventura Aragò, che nel 1871 scrive che «la Garnacha es una uva algo bermeja… buena para comer y colgar», cioè è un’uva rossa (la cui descrizione ampelografica è in buona sostanza quella del Cannonau) buona per mangiare e per essere conservata appesa. Insomma, secondo degli esperti dell’epoca (due ampelografi e due agronomi spagnoli), veri e propri «testimoni oculari», in Aragona (la zona di origine del Garnacha, in base all’ipotesi classica d’origine «spagnola») si accorgono della Garnacha tinta come uva da vino solo dopo la comparsa dell’oidio, quando viticoltori ed esperti accertano la notevole resistenza del vitigno a questa patologia. E questo sembra essere il momento della grande diffusione di questo vitigno.

Conclusioni

Alla luce di quanto fin qui descritto, è evidente che ci sono tutti gli elementi per affermare che il Cannonau abbia origini in Sardegna e non in Spagna. Va sottolineato, comunque, che le conclusioni alle quali si giunge in questo articolo sono quelle relative ai dati e alle documentazioni esistenti (riportate nella bibliografia) e nel caso in cui emergessero ulteriori dati, essi andranno naturalmente studiati e valutati. Il riferimento è anche agli atti notarili e di compravendita spagnoli (nonché sardi, custoditi in parte in Spagna): si tratta di documentazione che potrebbe portare ulteriore contributo, a patto di chiarire, in presenza del vocabolo «Garnacha», di quale si parli, se vino bianco fino o vino rosso.

Qualche considerazione, però, può certamente essere fatta:

• Garnacha viene da Vernaccia, è un nome di chiara origine italiana: per molti studiosi, spagnoli e non, è un chiaro sintomo di provenienza dall’estero del vitigno;

• non esiste un vitigno Canonazo di Siviglia, dal quale molti fanno derivare il Cannonau. Allo stato delle cose, poiché nessun autore spagnolo ne parla, dobbiamo dedurre che è un vitigno inventato,

rutto di un errore di stampa presente nell’opera del Rovasenda, che una serie di citazioni poco felici ha utilizzato per dare un’origine spagnola al Cannonau;

• le fonti storiche e letterarie spagnole indicano che il Gar- nacha, fino al XVII secolo, in Spagna è un vino bianco;

• la prima citazione del Cannonau in Sardegna risale al 1549. La prima in assoluto della parola «g(u)arnacha» è del 1613 (Cervantes), ma è riferita a un vino bianco. La prima del Garnacha (vino «tinto») in Spagna è di un dizionario del 1734. Cioè, le prime notizie sulla produzione del vino rosso Garnacha sono del 1734. Le attestazioni di produzione in Sardegna di vino Cannonau risalgono a circa 200 anni prima (notaio Bernardino Coni);

• due ampelografi e due agronomi spagnoli ci informano che l’uva rossa Garnacha, poco conosciuta in Aragona, viene diffusa solo dopo l’arrivo dell’oidio. Queste notizie, benché confermate da esperti, sembrano contraddette da quanto scritto sia nel dizionario spagnolo del 1734, che cita il Garnacha come vitigno rosso che dà un buon vino, sia da Rojas nel 1807. Le due notizie potrebbero essere entrambe vere: cioè nel XVIII secolo il Cannonau-Garnacha si affaccia alla ribalta della storia vitivinicola spagnola e nel secolo successivo acquista importanza notevole, tanto da essere diffuso in tutta la Spagna per la sua resistenza all’oidio.

In base a quanto analizzato finora, i riscontri storici e ampelografici rendono pertanto più dispendiosa dal punto di vista logico e scientifico l’ipotesi dell’ori- gine spagnola del Cannonau. Nel contempo, proprio in virtù del fatto che il Cannonau compare circa 2 secoli prima del Garnacha (vino «tinto», naturalmente), sembra avere maggiore consistenza l’ipotesi che il luogo di origine di questo vitigno sia da ricercare in Sardegna.